Eternità della coscienza di esistere

(Estratto dal libro La fonte preziosa - Edizioni Mediterranee)

 

Ogni uomo, nel corso della sua vita, si chiede anche reiteratamente se la morte del suo corpo trarrà seco quell'io sono che è dimostrazione della sua esistenza.

 

La paura della propria morte è un coacervo di timori, apprensione per l'ignoto, orrore che la morte in sé rappresenta, panico al pensiero che sia dolorosa, peritanza arrecata dall'istinto di conservazione, sgomento per dover lasciare il proprio mondo, ma soprattutto terrore del nulla, cioè che cessi quell'io sono, quel sentirsi d'esistere che proviamo vivendo e che crediamo sia attributo proprio e particolare della vita del corpo.

 

Se si riuscisse a trovare la certezza che l'io sono, che si crede faccia esistere, non cesserà, forse una buona dose dello spavento che la morte infonde vorrebbe meno.

 

Chi vuol vederci chiaro, intanto, deve tener presente che la coscienza di esistere, il sentirsi d'essere, non è legato all'io, essendo il senso dell'io il prodotto delle limitazioni e di un conseguente errato modo di concepire la Realtà.

 

Il sentirsi di esistere non viene mai meno.

Chi, con un rapido esame, si volge indietro a cercare nel suo passato una conferma a questa affermazione, può restare perplesso. Nel sonno, la coscienza di esistere viene meno? Certamente no; questo lo affermano anche gli studiosi della materia. Il fatto che certi sogni si dimentichino subito, al rientro nello stato di veglia, e che quindi nel ricordo vi sia una lacuna che può dare l'idea di una vacanza del senso di esistere, non significa che un vuoto vi sia stato effettivamente.

Sapreste ricordare nei particolari che cosa avete fatto tre anni fa?

Probabilmente non lo ricordate, eppure lo avete vissuto, eppure il vostro sentirvi esistere  era presente anche allora, in quella porzione della vostra esistenza che, ora, costituisce un vuoto nel ricordo.

 

Nel coma, invece, come nella anestesia totale, come nel cosiddetto riposo dell'Ego, sembrerebbe che effettivamente la coscienza d'esistere venisse meno per un certo tempo. Tuttavia la spiegazione è facile:  il tempo oggettivo non esiste; quella che sembra una soluzione di continuità nel sentirsi di esistere dell'addormentato, per lui non lo è affatto; lui sente di esistere senza interruzione quello che per gli altri è un tempo lunghissimo; per lui è come andare a capo nella lettura, come voltare una pagina. Sono gli altri che vivono situazioni, fotogrammi, episodi che lui non vive. Il suo sentirsi di essere non si arresta in attesa che gli altri vivano ciò che debbono vivere, ma scorre nelle successive situazioni che deve sperimentare senza arresti, senza soluzione di continuità, sia che gli altri contino un'ora o un giorno o un anno.

 

Questa esperienza, in qualche modo, la si può costatare anche col sonno naturale del corpo fisico. Talvolta vi sembra di aver dormito un attimo e invece sono passate ore. Talaltra sembra di aver dormito lungamente ed invece si è trattato di un breve tempo. La differente valutazione è dovuta al fatto che nel primo caso si è dormito profondamente, cioè senza ricordare i sogni fatti; nel secondo, invece, il ricordo del sogno e più netto del consueto. Tutto ciò ci conferma che il tempo, oltre ad essere un fattore relativo sul piano della fisicità, è anche estremamente soggettivo sul piano individuale, cioè ognuno ha la cognizione del trascorrere del tempo solo in funzione della successione degli avvenimenti che percepisce, veri o sognati che siano.

 

Allorché cessa la percezione - comprendo in questo termine anche la ricezione o il ricordo dei pensieri - cessa l'idea del trascorrere del tempo ed il sentirsi di esistere scorre senza soluzione di continuità, saltando a pie' pari la durata degli avvenimenti di cui non si è avuta percezione proprio perché non v'è durata se non v'è avvenimento.

 

In realtà non esiste una storia che con un tempo oggettivo scorra, distribuendo con la cadenza temporale a ciascuno le proprie esperienze:  ma la storia assume l'aspetto di evento oggettivo proprio per la parte in comune di tutte le storie individuali che essa rappresenta. E se, nella serie degli eventi di una situazione cosmica che vede unite dieci persone, la decima non deve percepire quello che è in comune alle altre nove (per esempio il paziente di una operazione chirurgica con totale anestesia, allora tale decima persona non deve attendere che il tempo sia passato per continuare a sentirsi d'essere e perciò a esistere, ma passa subito alla sua prossima situazione da percepire, quella in cui gli altri la vedono destarsi. E non potrebbe essere diversamente da così; infatti il non sentirsi d'essere equivale a non esistere; perché la vita è coscienza; l'esistere è coscienza d'essere.

 

Se mancasse la coscienza d'essere, che nella sua forma più elementare è solo sensazione, mancherebbe l'esistenza. D'altra parte, anche logicamente, si comprende che non sentirsi di esistere equivale al sentirsi di non esistere; e com'è possibile che si senta di non esistere? Se non si esiste, non si può sentire; e se si sente vuol dire che si esiste.
 

Il sentirsi di esistere va oltre i cambiamenti di umore, oltre i desideri, oltre i pensieri, pur essendo vero che nella condizione di esistenza umana  è proprio l'attività quale azione, quale emozione che lo incentiva.
Il sentirsi di esistere va oltre anche i cambiamenti di personalità. Il fanciullo che cresce e diventa uomo muta sensibilmente il suo modo di concepire il mondo, i suoi gusti, i suoi interessi, tanto che se non vi fosse il sentirsi di esistere che, ininterrotto, lega il fanciullo all'uomo che è divenuto, si potrebbe benissimo dire che si tratta di esseri distinti.

Il sentirsi di esistere, unendo due stati d'essere diversi, dà la garanzia che si tratta di un solo essere. 

 

Ma questa garanzia ha valore assoluto? Non potrebbe trattarsi del sentirsi di esistere che scivola su tanti stati d'essere diversi secondo una qualche successione logica?
E quindi dare l'idea di un solo essere che muta il suo sentire? O, più ancora, trattarsi di tanti sentirsi di esistere che si rivelano, affermando la loro esistenza nella Eternità secondo una successione determinata dall'ampiezza della realtà da ciascuno contenuta, come una catena ininterrotta che conduca all'affermazione del più grande sentirsi d'essere, quello " assoluto ", termine d'ogni separazione e perciò d'ogni successione: sentire di Eterno Presente e di Infinita Presenza?

 

Senza arrivare a cotanta vastità, a un simile vertice, che è anche base di tutto, appare chiaramente che il sentirsi d'essere considerato a prescindere da quelli che chiamate stati d'animo contingenti, a prescindere dalla personalità che muta, rimane ininterrotto al di là del mutare della forma fisica. E quindi non è irragionevole credere che ne sia totalmente svincolato, tanto da sussistere in modo indipendente da essa quand'essa non è più.

 

Il sentirsi di esistere è il sentire del quale tanto vi parliamo, considerato nella sua forma più elementare, più limitata: è l'atomo del sentire. La massima espressione del sentire, quello che non conosce limitazioni, è il sentire assoluto.
Ad ogni caduta di limitazione corrisponde un sentire sempre più ampio; sempre più volto, aperto, proteso verso gli altri.
Altre volte vi abbiamo accennato a questo processo del graduale rivelarsi del sentire; vi abbiamo detto che inizialmente si svolge ed ha luogo per mezzo di stimoli di varia natura:  sensori, intellettivi, sentimentali, che l'individuo riceve principalmente vivendo nel mondo fisico. Che cosa significa, per l'uomo, « vivere », nel senso più esteso? Certo non v'è bisogno che ve lo illustri: la vita, con la sua fatica, le sue paure, le sue incertezze, con gli slanci, le speranze, le gioie, insomma con le sue esperienze che trovano nell'intimo dell'uomo il crogiolo in cui si trasforma il metallo vile in oro, la vita è la forza motrice per una simile metamorfosi. Ma il processo è graduale, le limitazioni cadono una alla volta.

 

Quand'è che cade una limitazione? - direte -  durante la vita fisica o dopo?
Va tenuto presente che la caduta di una limitazione è tutto un processo che può occupare più vite, in cui l'individuo può giungere a comprendere, ad assimilare una certa Verità, può sperimentare personalità l'una in antitesi all'altra. La limitazione cade quando l'individuo può operare una sintesi delle esperienze vissute ed imperniate su quella data limitazione. E non si creda che sintetizzare le esperienze vissute o trarne il conseguente significato sia un fatto prettamente intellettivo; gli impulsi che l'esperienza elargisce colpiscono l'intimo essere ed operano una trasformazione che fa maturare e predisporre alla comprensione finale.

Nessuno capisce, comprende ed accetta una Verità se non è pronto, maturo, predisposto. Nella sintesi finale dell'esperienza, che comprende varie fasi, gioca un ruolo importante la mente individuale;  tuttavia il suggello finale non verrebbe apposto, l'insegnamento dell'esperienza non diverrebbe « natura acquisita », ad opera della sola mente  se tutto l'individuo, con l'intero suo essere, non l'avesse vissuta. Ciò che la mente fa nella sintesi finale, che trasforma l'esperienza in natura acquisita, è una sola parte del processo di rivelazione dell'essere vero. Premesso questo, vediamo quando avviene la sintesi finale dell'esperienza che fa cadere la limitazione del sentire, rivelandosi così un sentire più ampio.

 

Mi riferirò ad una situazione che ricorre abbastanza frequentemente. E voi tenete presente che tutte le cadute delle limitazioni del sentire umano avvengono analogamente.
Nella cosiddetta evoluzione individuale - che altro non è che un cambiamento di scopo dell'attività esistenziale della propria persona, così da spostare il proprio interesse, prima rivolto su di sé, agli altri - puo' esservi una fase in cui l'individuo, dopo aver cercato vantaggi materiali ed essersi accorto che essi al massimo durano quanto il corpo fisico, ha un cambiamento di direzione del suo interesse e della sua attività, persegue vantaggi che, secondo lui, possono seguirlo oltre la morte.

Questa risoluzione l'individuo la prende, come generalmente tutte le altre, dopo la morte, quando con la maturazione raggiunta alla fine della sua vita rivede e rivive la sua esistenza e trae la conclusione che ho detto e che a lui sembra la più vera.

Ha così una vita in cui è dedito ai riti religiosi, ma non con il giusto sentire, bensì solo formalmente, per meritarsi la benevolenza e il premio divino. In questa seconda esperienza - che è anch'essa solo una parte di quella esperienza totale che lo condurrà alla caduta di una limitazione del suo sentire - comprende che Dio non ama più chi lo loda di quanto ami chi lo bestemmia, e che la religiosità non dà, da parte di Dio, alcuna particolare protezione né alcun vantaggio materiale. 

 

Anche questa conclusione, generalmente, la trae dopo il trapasso, quando raggiunta una data maturazione attraverso il vivere rivede la sua trascorsa esistenza e le altre che sono servite a costruire compiutamente l'esperienza totale che produrrà ora la caduta della limitazione del sentire. Questo rivedere, con la maturazione raggiunta da ultimo, dà il senso compiuto all'intero contesto esperito ed è il suggello finale della trasformazione in propria natura di quell'insegnamento che l'esperienza doveva donare. Nel caso particolare la sua avidità perde l'eccesso; cioè egli sarà ancora avido, perché perseguirà ancora il suo vantaggio personale, ma non al punto da condizionare, da subordinare totalmente la sua esistenza. In pari tempo inizierà ad esservi in lui, proprio a seguito della caduta di quelle limitazioni del sentire, un primo larvato senso di dovere: cioè farà qualcosa che, secondo le convenzioni, si è tenuti a fare, anche se il farlo non dà alcun particolare tornaconto. 

 

Liberato cosi dalla limitazione, il sentire rivelato si unisce agli altri sentire che gli sono equipollenti, anch'essi a seguito di analogo processo, costituendo in tal modo un sentire nuovo, un essere nuovo che, manifestandosi nel mondo fisico, incontrerà una serie di altre esperienze che condurranno ad altre liberazioni, ad altre comunioni, ad altre manifestazioni.
Voi stessi, con il vostro sentire, siete la sintesi di esperienze di molti altri soggetti ubicati in tempi e spazi diversi e che hanno nel sentirsi di esistere quel filo, quel collegamento, quella continuità che, essendo l'unica cosa che sopravvive, è la vera sopravvivenza. Il resto, la personalità, il carattere, il modo di agire, di desiderare e di pensare mutano e perciò finiscono d'essere quel che sono; chi condiziona la sua futura esistenza alla sopravvivenza delle sue caratteristiche si rassegni a morire.

 

Poiché niente, in assoluto, tuttavia trascorre e sparisce, nella profondità e nella vastità dell'essere di ciascuno di voi sussistono tutte le personalità, tutte le esistenze degli individui che hanno concorso alla costituzione del sentire che state manifestando. Questo sentire attuale contiene in sé, per ampiezza, tutti i sentire costituenti, anche se non vi dà il ricordo storico e cronologico degli eventi connessi a quei sentire, a quelle esistenze trascorse.

 

Tale ricordo può tuttavia essere suscitato. Più volte abbiamo ripetuto che la consapevolezza dell'uomo non contiene tutta la sua coscienza, il suo sentire. Ma ciò non significa che il suo attuale sentire sia qualcosa di staccato, lontano, sublime, raggiungibile con sforzo. La spiegazione della nostra affermazione sta nel fatto che il vostro sentire di uomini si manifesta solo come risposta agli stimoli ambientali; perciò se la vita non vi sottopone a certi stimoli non avete consapevolezza di come sentireste in quella particolare situazione. Non vale infatti immaginare cosa sentireste e come vi comportereste in una certa evenienza, in una data occasione; teoricamente si possono dire tante cose, ma poi, all'atto pratico, ci si comporta diversamente proprio per la ragione che solo allora, quando la vita presenta il suo stimolo, il sentire si manifesta; o meglio, allora l'individuo agisce come veramente sente.
 

Quando invece il sentire è più ampio, allora fluisce liberamente e non solo quale risposta agli stimoli esistenziali.

Taluno di voi, sporadicamente, ha sperimentato attimi di intensa esistenza, quando si comincia a sentire di far parte di un tutto e si sente un trasporto, uno slancio di amore verso tutto quanto esiste. Sono rari momenti e, per quanto intensi possano sembrare, non sono che l'ombra di quella piena beatitudine che è caratteristica naturale dell'esistenza che attende l'uomo: l'esistenza del superuomo. 

Per bene intendere il concetto, da un tale progressivo liberarsi, aggregarsi, ampliarsi del sentire, va tolta ogni propensione concettuale della realtà in divenire. Tutto è, niente trascorre: tutto si rivela a se stesso, tutto afferma la sua esistenza nell'istante di un tempo che non esiste, in un punto dello spazio illusorio.

Tutto si manifesta per un solo attimo che in sé è eterno:  in quell'attimo è l'eternità.

 

Perché mai contate le ore, i giorni, gli anni? Il sentirsi di esistere non conosce fine, anzi è eterno, perché è al di là del tempo. Stolti, che vi fermate e volete immobilizzare il caleidoscopio delle forme che esistono proprio in forza della loro stessa variabilità, della loro stessa caducità. Che cosa volete fermare? La forma delle nubi? Che cosa volete imprigionare? Il pensiero? Non vi fermate all'esteriore, a ciò che appare. Non desiderate di godere per sempre del profumo del fiore, ma siate ciò che fa fiorire e profumare.
Siate consapevoli che tutto lo spettacolo che si svolge di fronte alla vostra osservazione, e di cui siete fatti protagonisti, ha il solo scopo di ampliare il sentirsi di esistere che ciascun essere è fino ad abbracciare ed esprimere la Totalità del Tutto.

                                                                                                                                                  KEMPIS