Lettera aperta a...Pindemonte 

Tratto dal libro "Oltre l'illusione" - Edizioni Mediterranee

Lettera aperta

 

Sarebbe un peccato sciupare questa atmosfera così distesa; converrà perciò parlare di cose semplici, per scoprire poi che le cose più facili a capirsi sono quelle più difficili a tradursi in pratica. Ne approfitterò per scrivere una lettera:

 

"Mio caro Pindemonte, io non so proprio come tu riesca a sopportarci. Noi parliamo, parliamo, sputiamo sentenze una dopo l'altra, ché tanto cosa farne è affar vostro. Tenerle in nessuna considerazione non è possibile: l'acqua, anche quando scivola via, lascia bagnato. Volere applicarle è un'impresa assai ardua perché ha un bel dire il signor Dali che noi non vogliamo costituire per voi un ulteriore problema. 

Vorrei vederlo che cosa farebbe al posto vostro; anzi vorrei vederli tutti quei signori che se ne stanno comodi comodi, seduti lassù, trasportati invece nella macina della vita.

Per esempio, Gesù Cristo, che cosa farebbe al posto tuo? Alzarsi presto tutte le mattine per andare in orario in ufficio, tornare a casa stanco e dover risolvere i problemi della famiglia.

Quando lo troverebbe il tempo per predicare? Perché non lo si vorrà mica far predicare durante le ore di lavoro, ci mancherebbe altro! Tutto sommato, dovrebbe fare il predicatore a tempo pieno, ma allora non sarebbe più nei tuoi panni.

Già, perché forse è necessario stabilire che cosa dovrebbe tornare a fare Gesù Cristo sulla Terra, perché se tornasse a fare Gesù Cristo allora farebbe le stesse cose, né più né meno. Magari sarebbe condannato come extraparlamentare; insomma muterebbero i dettagli perché sono mutati i tempi, ma la sostanza rimarrebbe la stessa. Se invece tornasse a fare il "povero Cristo", sì insomma, uno qualunque, allora sarebbe uno qualunque, né più né meno come io e te.

 

Caro Pindemonte, chissà che cose dirai quando riceverai questa mia lettera, perché forse a te piacerebbe sapere come Gesù Cristo si comporterebbe nei tuoi panni, a prescindere dalla considerazione che se anche non facesse vita pubblica non si troverebbe mai nella tua situazione, come nessuno, in fondo, si trova mai nella stessa situazione di un altro. Forse a te piacerebbe sapere come Gesù Cristo risolverebbe i tuoi problemi, quei problemi che in fondo tu stesso contribuisci a creare, non fosse altro col ritenere problematiche cose che per altri non lo sarebbero. Ma forse a tutti piacerebbe vivere la propria vita e quando si fosse posti di fronte ad una decisione da prendere, fare una telefonatina per sapere che pesci pigliare, scaricando così sugli altri tutte le responsabilità.

 

Ma se poi la risposta fosse di fare cose che sono contro i nostri interessi, o che non si ha la forza di fare?... Perché questo è il punto! Forse qual è il meglio lo sappiamo, anche senza scomodare Gesù Cristo, ma vogliamo farlo? Tu dici che la vita stessa, il posto che ciascuno occupa nella società, impediscono di vivere secondo certi ideali. Hai ragione.

Se io fossi un giudice e fossi intimamente travagliato perché convinto del "non giudicare", è chiaro che dovrei cambiare professione. Non potrei fare il giudice che non giudica. Ma se continuassi a fare il giudice, allora dovrei giudicare, non c'è scampo; magari lo farei nel modo migliore a me possibile, impegnando tutto me stesso e poi scoprendo, alla fine, che forse quel "non giudicare" ha un altro significato.

 

Se io fossi un soldato in battaglia e fossi di fronte al dilemma di uccidere o di essere ucciso, saprei benissimo che Gesù Cristo al posto mio si lascerebbe uccidere, ma lo farebbe non perché un altro al posto suo farebbe così, lo farebbe perché quello sarebbe il suo "sentire". Ora, Pindemonte, forse è necessario scoprire qual è il proprio "sentire" e agire in conseguenza.

 

Certo, la prima considerazione da fare è che non si è soli al mondo e che si deve pure qualcosa anche agli altri; non foss'altro del rispetto. Ma anche questa considerazione deve essere "sentita" .

Se io fossi un avvocato, è chiaro che potrei trovarmi nella circostanza di dover difendere un assassino; oppure di avere un cliente per servire il quale dovrei danneggiare altre persone.

Allora se non mi sentissi di farlo - ma non perché Gesù Cristo al posto mio non lo farebbe, ma perché quello non fosse il mio "sentire" - è chiaro che dovrei cambiare almeno cliente.

 

Capisco, Pindemonte, a te piacerebbe sapere quali sono le cose lecite e quelle non lecite, ma un simile elenco non ha valore assoluto. Si può fare riferimento alle leggi della società in cui ciascuno vive, ma un tale riferimento deve essere considerato come il minimo dei contratti collettivi di lavoro, un minimo sotto al quale non scendere. Una traccia, fra l'altro, ben poco indicativa perché esclude - anche se non potrebbe fare diversamente - quella piccola cosa che è la verità dell'individuo, il mondo delle intenzioni nel quale solo il singolo può entrare.

Ecco perché, Pindemonte, ciò che farebbe un altro al posto tuo, per te non ha senso alcuno perché se anche facesse le stesse azioni, differenti potrebbero essere i moventi.

E poi il codice è eludibile e incompleto perché, vedi, chi sequestra una persona e chiede un riscatto, è certamente un cinico della peggiore specie, ma almeno rischia in proprio i rigori della legge. Ma chi svolge una professione considerata umanitaria, e si servisse della protezione della legge e dell'omertà del perbenismo per arricchire in tutta tranquillità, alla barba di chi soffre, certo sarebbe un cinico peggiore dei dediti ai sequestri di persona.

C'è una pena abbastanza severa per chi semina il vizio per raccogliere più facili e lauti guadagni? Per chi somministra, con alimenti, veleni, sempre  per arricchire? 

 

Per chi si adopera, sempre per il proprio guadagno, a fare approvare leggi che legalizzano il veneficio di massa? Non c'è dubbio che se per certe azioni non v'è una sanzione adeguata, oppure non v'è sanzione alcuna, si tratta di atti altamente delittuosi. Di contro vi sono posizioni che non dovrebbero essere perseguite dalla legge. Che fare? Adoperarsi per migliorare gli strumenti della giustizia.

Invero nulla dovrebbe essere considerato perfettibile come la legislazione di una società, al fine di sempre meglio contemperare le esigenze dei singoli con quelle della collettività, il che non significa un'aprioristica condanna di tutti i principi e gli istituti sociali.

 

Il nostro amico Claudio ci invita a renderci conto di ciò che facciamo e perché lo facciamo; ossia ci invita a scoprire la ragione delle nostre azioni al fine di prendere coscienza di noi stessi. Questo, fra l'altro, sviluppa un certo senso critico, utile nel necessario esame che ciascuno deve compiere dei valori della società in cui vive; ma è indispensabile che la revisione critica, più che avere come oggetto il cangiante quadro dei costumi - l'uno dei quali vale l'altro - sia ispirata dalla logica e dal buon senso, i quali impongono che allorché si è accettato come vero un principio, non lo si voglia far seguire solo agli altri, non lo si segua solo quando il seguirlo è comodo ed utile.

 

Niente passi nell'indifferenza. La responsabilità penale, per certi reati, non è più personale, vedi nella fattispecie il furto per procura: rubate per dare al partito e avrete buone probabilità di farla franca. Ma forse è giusto che sia così perché c'è un precedente storico che fa testo: Caterina da Siena che rubava dalla casa paterna per dare ai poveri, e nonostante ciò fu proclamata Santa.

C'è una certa tendenza a non considerare più come tali, i delitti perpetrati verso la collettività. Ora se c'è un interesse preminente rispetto a quello soggettivo, è l'interesse pubblico.

 

Il patrimonio pubblico è considerato come se non fosse di nessuno ed invece è di tutti. E poiché ognuno è molto attaccato ai propri tesori, ognuno, per coerenza, dovrebbe sentirsi tutore dei beni pubblici. Cosa che non è affatto. Guarda invece, Pindemonte, con quanta accortezza si cerca di mettere al sicuro le proprie ricchezze, magari finendo con lo scegliere il luogo meno adatto. Che vadano gli sciocchi a nascondere i loro capitali in quello staterello più prossimo alla grande potenza che si dichiara anticapitalista; chissà che cosa farà loro credere che là siano più al sicuro!

 

Non credi, Pindemonte, che le frontiere pesino solo sugli onesti e siano invece fonte di illeciti guadagni per chi antepone la ricchezza all'uomo? Curiosi questi ricchi! Sono loro che nella scala dei valori antepongono il guadagno alla vita dell'uomo e si meravigliano se c'è chi uccide per arrivare alla loro ricchezza! Curiosi questi potenti! Qualunque mezzo è stato lecito per portarli al potere, e adesso invocano e sperano nell'onestà degli uomini. Certo lo fanno perché nessuno faccia a loro quello che essi hanno fatto agli altri. Lo sperpero dei ricchi risponde dei delitti e dell'esasperazione dei poveri. Il fanatico rigore dei moralisti paga l'oscena esibizione dei viziosi. Questo significa prendere coscienza di se stessi e del mondo in cui si vive.

Significa capire che non è condannabile il fiore che ancora non è sbocciato: amarlo e comprenderlo, ma amare e comprendere non significa divenire complici. Non è certo immorale la belva che uccide per cibarsi, è da amare e da comprendere. Tuttavia, o Pindemonte, non sarebbe giusto che tu la sfamassi con i tuoi figli. 

 

Perciò, se non ti senti di gettarti in pasto ad essa, ti converrà tenerla a distanza. Sarebbe assurdo interpretare la bontà e l'amore come una sorta di amnistia o di assoluzione generale che, fra l'altro, non togliendo la tendenza a danneggiare in chi ha danneggiato, finirebbe con l'essere dannosa per tutta la società. Che cosa fa la natura con la legge di causa e di effetto, se non realizzare l'ideale della giustizia in cui l'effetto ha lo scopo di riscattare e non di punire? Cioè, perseguendo un fine di misericordia ma al tempo stesso restando inesorabile. Dunque, caro Pindemonte, non ti proponiamo una visione più lassiva della vita, al contrario. Se mai abbiamo la pretesa di dartene una più intelligente perché - vedi - se è osceno ciò che offende il pudore, e se il pudore è la riservatezza che i cosiddetti sani principi debbono ispirare, allora anche l'ostentazione del brutto è oscena.

 

La "maja desnuda" è pudica in confronto a certe immagini sacre.

C'è più male nella morale stupidamente intesa, che in ogni comportamento spontaneo e naturale, ma non si confonda la spontaneità e la naturalezza con l'ignoranza e la mancanza di educazione coltivate quali alibi dei propri comodi. E non si confonda l'educazione con l'ipocrisia; l'educazione è rispetto verso gli altri,

l'ipocrisia è sacrilegio verso il prossimo. 

Ecco perché il sacrilegio più grande è quello consumato dalle religioni che predicano l'unione degli uomini e invece li dividono. Da quelle che maledicono anziché benedire, che fanno dell'altare un banco di vendita ed una fonte di illeciti guadagni per chi non ha voglia di lavorare; che pur di salvare il tempio, l'organizzazione, mandano alla perdizione gli uomini. Perciò, caro Pindemonte, se non vuoi essere ipocrita, quello che fai devi "sentirlo", tenendo presente che non sei solo al mondo e verificando continuamente il tuo "sentire" alla luce della considerazione che noi tutti siamo un solo essere e che ciò che non si accorda con questa realtà - comunque tu la metta - non ha valore universale ed è perfettibile.

 

Basta così. Le troppe parole finiscono col non dire più nulla.

Lo tenga presente chi vive in quest'epoca dai molti discorsi.

Perfino chi è morto parla più ora che prima, quando era vivo. Per tacere poi della Madonna e di Suo Figlio che - stando ai messaggi che sarebbero da Loro invitai - sono più ciarlieri d'una portinaia. Si racconta che Pio IX, al quale stavano leggendo le profezie di Suor Domenica del Paradiso, se ne uscì con questa esclamazione: "Sarà stata anche Santa, ma Gesù mio, quanto parlava!".

Guardiamoci, Pindemonte, da chi fa spreco di parole per somministrare contenuti in dosi omeopatiche, che fa della parola anziché un mezzo di comunicazione, l'arte dell'inganno. "Sia il tuo dire sì, sì, no, no, perché il di più di questo viene dal maligno".

Tuo affezionatissimo

                                                                                                                                                                                                       KEMPIS.

 

 

Pagina iniziale