La reale dimensione di esistenza del Tutto

(Estratto dal libro Oltre l'illusione - Edizioni Mediterranee)

 

L'istintiva reazione che avete di fronte ad una Verità che vi crea problemi di comprensione o che lede il vostro io, è quella di respingerla con l'incredulità. V'è un grandissimo numero di persone che non credono alla sopravvivenza perché il credervi porta, per opinione comune, al rispetto di un codice etico-religioso che costituisce una sorta di remora ad un certo loro comportamento, perciò si difendono col non credere. Dobbiamo riconoscere in questo atteggiamento una coerenza di fondo che non riscontriamo in altri. 

 

Noi non vogliamo convincere nessuno. Che quello che diciamo sia vero è afferrabile da una serie di considerazioni, l'una derivante dall'altra, che partono da molto lontano. Il discorso che facciamo è come lo svolgimento di un'equazione o di un sistema di equazioni: se salta un passaggio, salta la soluzione.

È un discorso che ha un senso compiuto, non se ne può accettare per vera una sola parte. Se giusta è l'impostazione, vera e giusta è la soluzione, vera e giusta è la conclusione. Voi già conoscete lo sviluppo del ragionamento. Se lo ripeto questa sera a conclusione di un argomento che ci ha tenuto impegnati per molte riunioni, è per trovare un nuovo modo di esporlo, sì da renderlo comprensibile a quelli di voi che ancora non lo avessero compreso.

 

Osservando il mondo in cui viviamo, cogliamo la molteplicità delle forme, degli ambienti, la pluralità degli " esseri ". Se noi crediamo che questo mondo che osserviamo, così come lo vediamo, con le caratteristiche che cogliamo, esista oggettivamente al di là delle sfumature che indubbiamente caratterizzano le immagini che di esso mondo sono colte dai soggetti, se crediamo che la suddivisione dei piani di esistenza sia reale e non derivi - invece - da differenti categorie di sensi che ci danno differenti immagini di una stessa identica realtà, in poche, brevi parole, se crediamo che questa molteplicità che cogliamo esista oggettivamente, possiamo credere a Dio?

Supponiamo di si'.

Allora, come può essere questo Dio?

Supponiamo distinto da tutto quanto esiste. Se cosė fosse non sarebbe completo, né infinito, né assoluto, ecc. ecc., perché mancherebbe di una parte della realtà oggettiva: per l'appunto della molteplicità che noi abbiamo postulato esistere oggettivamente. Sul piano dell'oggettività vi sarebbe Dio e vi sarebbe l'insieme della molteplicità, cioè il manifestato. L'uno limiterebbe l'altro e viceversa. Un simile Dio sarebbe, al massimo, il migliore degli esseri, ma i suoi caratteri non andrebbero oltre quelli di un essere limitato.

Supponiamo allora che Dio non sia distinto da tutto quanto esiste e questo può avvenire solo se Dio è formato dall'insieme dell'esistente. Ma, in questo caso, Egli sarebbe continuamente mutevole perché il divenire dei mondi - al pari dei mondi stessi - sarebbe oggettivo, appunto con la conseguenza che Dio non sarebbe mai eguale a se stesso. Certo nessuno può impedire a chicchessia di credere a un simile Dio. Ma dimmi in chi credi e ti dirò chi sei. È chiaro che un Dio così' concepito non avrebbe quei caratteri che universalmente sono attribuiti a Dio.

 

La conseguenza di queste brevi considerazioni è: o Dio non esiste - e vedremo dopo se ciò è possibile - oppure la molteplicità è un'apparenza. Se infatti la molteplicità fosse un'apparenza, allora anche il divenire dei mondi non sarebbe reale. Il quadro cangiante e molteplice che osserviamo, altro non sarebbe che l'insieme di immagini che differenti categorie di sensi ci danno di una stessa identica realtà.

Quest'Unica Realtà potrebbe essere Dio, un Dio che tutto comprenderebbe, perciò completo ed infinito perché Unico: Immutabile perché non toccato dal divenire dei mondi: Assoluto perché da tutto indipendente, e via via. Ed essendo cosi singolare, così diverso da tutto quanto appare esistere nel mondo della molteplicità, veramente potrebbe essere la prima Causa increata.

È chiaro che la mia certezza circa l'esistenza e la natura di Dio, non deriva da questa speculazione, anzi non deriva da speculazione alcuna. Ma io credo che questo ragionamento sia da voi accettabile e, in ogni caso, il solo che può conciliare l'esistenza di Dio con l'esistenza della molteplicità.

 

Credenti di tutte le fedi, se voi credete in Dio credete a questo Dio, perché è il solo che può esistere, il più vero per approssimazione alla Realtà. Questa non è un'affermazione di fede: e un'affermazione della ragione.

Detto questo, la domanda che si pone subito dopo è: che cos'è questa molteplicità, cioè gli esseri, i mondi, in rapporto a Dio? Creazione o emanazione divina? Se con questi termini s'intende un evento oggettivo, no certo. Nulla può realmente nascere, trasformarsi, sparire nella Realtà assoluta ed oggettiva. Gli esseri e i mondi, non sono stati creati o emanati da Dio nel senso che nella Realtà assoluta prima non c'erano e adesso ci sono; il prima e il dopo fa parte del divenire, dell'illusione del tempo. Un Cosmo appare nascere e morire perché è una realtà parziale, limitata, relativa; limitata fra l'altro da un inizio ed una fine.

Il Cosmo appare contenuto fra l'emanazione ed il riassorbimento, ma questi eventi, come quelli che fra questi accadono, appartengono al mondo dell'apparenza.

 

Ogni attimo che, vissuto, sembra non potersi fermare, è in realtà senza tempo; non può essere stato creato, né può distruggersi; era prima che lo vivessimo e rimane, al di là del suo apparente trascorrere. Sul filo di questa considerazione, la Manifestazione non appare certo come conseguenza di un atto di volontà di Dio, ma se mai come un Suo aspetto, una parte, anche se oggettivamente non distinguibile da Dio, perché se lo fosse sarebbe oggettivamente esistente e perciò limitante Dio. Inoltre, come un organismo è un insieme di parti che ha funzioni proprie e diverse da quelle dei singoli organi che lo compongono, a maggior ragione Dio è tutt'altra cosa dall'insieme della molteplicità, peraltro apparente.

 

Come si sa, le domande sono come le ciliegie: una tira l'altra, E a questo punto, la domanda che la logica impone è: se Dio è l'Unità, tanto che la molteplicità è un'apparenza, allora poteva non esistere quest'apparente molteplicità?

Nel regno del manifestato, del molteplice, tutto ha una ragione, uno scopo. Anche senza osservare i grandi eventi cosmici, la Verità di questa affermazione è riscontrabile dai semplici fatti naturali. Che so? Per esempio il colore e il profumo di un fiore che attirano più gli insetti di una certa specie anziché altri, fa aumentare le possibilità di impollinazione tra fiori della stessa pianta o di piante della stessa specie. E cosi tutti i fatti naturali che possono essere recepiti dalla portata della vostra osservazione e della nostra comprensione, mostrano di avere una ragione, tendere a uno scopo. 

Ma, anche senza pensare alle cause finali di Aristotele o al " finalismo ", se la Manifestazione esistesse senza scopo alcuno - cioè esistesse per esistere - è chiaro che non potrebbe non esistere. Tuttavia solo quando si parla di Dio, si parla di Colui che non ha causa, non ha perché. Allora ciò che si può dire a chi, come l'uomo, è abituato all'effetto quale conseguenza della causa, suona più come un postulato che come una dimostrazione; più come una tautologia (" l'essere è l'Essere ") che come una spiegazione.

 

Vedete: una realtà oggettiva diversa da quella che è, non può esistere. L'abbiamo detto prima: se Dio esiste non può che essere infinito, eterno, assoluto, immutabile, onnisciente, ecc. ecc.

Allora, può non esistere quell'Unico Dio che può esistere?

Quell'Unico Dio non è il Dio-creatura della fantasia di certe teologie, ma è la ragione, la reale dimensione d'esistenza del Tutto. Se lo si toglie, sparisce tutto, e la reale dimensione d'esistenza del Tutto è l'Unità di un solo Essere, l'Essere Unico ed Assoluto che è chiamato comunemente Dio. Sul piano assoluto " l'essere "s'identifica con la coscienza, con il Sentire assoluto. Questa d'esistenza del Tutto è l'Unità di un solo Essere, l'Essere Unico cd Assoluto che è chiamato comunemente Dio. Sul piano assoluto s'identifica con la coscienza, con il Sentire assoluto. Questa non è un'affermazione dogmatica, è un'affermazione che è contenuta nel concetto stesso di " Essere assoluto ", come - per esempio - il concetto dell'identità con se stessi è contenuto nello stesso concetto d'" identità ". 

 

Ora questo " Sentire assoluto "non è un " sentire ", ma è la completezza del " sentire ". E questo non sarebbe se Dio non fosse la fusione, nell'Unità, della molteplicità. V'è fra l'Unità e la molteplicità, fra la Realtà assoluta ed oggettiva e l'apparenza, lo stesso rapporto che v'è fra causa ed effetto in chi è causa di se stesso. Perciò errato sarebbe credere che il manifestato fosse lo sgabello su cui Dio poggia i Suoi piedi. 

Ogni essere è parte integrante di Dio, anche se da Lui non è oggettivamente distinguibile; ed anche nel mondo della relatività, ogni essere non è condannato ad una perpetua limitazione, ma la coscienza si amplia sempre più fino a identificarsi in Dio, che è la comunione del Tutto. Difatti il sentirsi distinti da tutto quanto esiste deriva da una delimitazione non oggettiva del " sentire "; la vera natura del " sentire " è il Sentire Unico ed Assoluto. Perciò la vera natura di ogni " essere "è l'Essere Unico ed assoluto: Dio.

 

Questa diversa concezione di Dio, trae seco una diversa concezione della Realtà e della vita. Noi esistiamo perché esiste Dio e viceversa, fatto salvo il carattere assoluto di Dio, cioè di indipendenza di Dio. Tutto quanto esiste è perfetto e indispensabile, naturalmente al di là di opinioni e giudizi che necessariamente sono relativi ai singoli. Intendo dire che una situazione può essere piacevole o dolorosa, ma sempre relativamente a chi la vive o a chi l'osserva; mai in senso assoluto. 

E con Ciò intendo accennare alle difficoltà incontrate dal monismo spiritualistico per spiegare l'esistenza del male inconcepibile in Dio: il male fa parte del mondo del relativo, è come tutto il divenire dei mondi che non incide nella Realtà di Dio. Tuttavia il male nel piano relativo ha una sua precisa funzione; nulla della molteplice versione dell'esistente è errato o superfluo, anzi, ogni fatto ha piu' significati, tanti significati per lo meno quanti sono i suoi protagonisti.

 

Tutto quanto viviamo esiste da sempre e per sempre, al di là del tempo, ed esiste in molteplici versioni, si' da far salva la libertà del singolo ove e quando sia necessario. Quanto ci appare come passato e come futuro, esiste identicamente nell'Eterno Presente. Tuttavia non esisterebbe se non esistesse nel tempo e viceversa. Perciò al di là del tempo esiste la " comunione degli esseri ", a cui tutti siamo votati ed in cui la molteplicità è trascesa perché fusa nell'Unità. Ma ciò non sarebbe se, nel tempo, non vi fosse la sequenzialità e la separatività che originano la pluralità. Badate bene: questo concetto è giustamente inteso allorché serve a chiarire e meglio comprendere che la Manifestazione nulla trae né apporta a Dio, nel senso temporale.

 

Questa diversa concezione della Realtà e di Dio, che libera l'immagine del Divino da quegli orpelli posticci di un misticismo romantico, ci autorizza forse a credere che la moralità non abbia senso alcuno? Che inutile sia lo sforzo dell'uomo di tendere al bene, di migliorare il proprio mondo? Finché l'uomo non comprende che il suo "essere " deve estendersi al di là dello spazio limitato e delimitato dal suo egoismo, finché non comprende che le proprie qualità non gli appartengono solo per se stesso, la legge del dolore lo richiama alla comprensione. 

In ciò sta la risposta. Di più: se Dio è la reale dimensione d'esistenza del Tutto, se Egli è l'Unico Essere in cui tutti ci riconosciamo, allora ogni " essere " è un altro te stesso. Se puoi convincerti di questa Verità, getta pure lontano da te ogni legge, ogni Comandamento, perché essi non sono che una pallida imitazione, una grottesca caricatura di quella convinzione interiore che sola può trasformare i tanto meravigliosi quanto irraggiunti ideali morali in viventi Realtà.

 

Egli non è il Dio di Abramo, né di Confucio; non è Brahma, non è il " Padre " del Cristo, né l'Allah di Maometto. Non è né bene né male, non è amore contrapposto all'odio, non è Giustizia, ma non è parzialita'; non è Misericordia ma non condanna.

Egli è al di là del giuoco dei contrari, ma essendo la " somma pienezza" è tutto ciò che vi manca: amore per chi non è amato, beatitudine per chi soffre, Tutto per chi nulla è. Egli è l'Uno che appare come molteplice, ma non è l'apparenza, perché è " ciò che E'".

E' infinito perché l'Unico, eterno perché immutabile, in realtà indivisibile perché in realtà è il solo che esiste. Egli è completo perché è il Tutto che tutto comprende, ma non è il Tutto perché il tutto trascende. Egli è assoluto " sentire " ed " essere ", nostra reale condizione di esistenza. Invoco lo spirito che è in voi, il solo capace di dare senso al mio misero balbettare.
 

kempis